Aggiornati gli importi del trattamento minimo e dell’assegno vitalizio per il 2026:ecco tutti i dati con le novità in arrivo.
Con l’avvicinarsi del nuovo anno, si delineano i nuovi importi del trattamento minimo delle pensioni per il 2026, una delle misure più attese e rilevanti per milioni di pensionati italiani. L’INPS, attraverso la circolare n. 153/2025, ha ufficializzato gli aggiornamenti che interesseranno il trattamento minimo e l’assegno vitalizio, confermando anche la funzione di questi valori come parametri di riferimento per il calcolo di altre prestazioni legate al reddito.
Aggiornamenti sul trattamento minimo pensionistico nel 2026
Il trattamento minimo pensionistico rappresenta un importo fondamentale per garantire un reddito minimo ai pensionati che percepiscono assegni molto bassi, integrando la pensione al fine di assicurare una soglia di reddito dignitosa. Per il 2025, il trattamento minimo era fissato a 603,40 euro mensili, corrispondenti a 7.844,20 euro annui, mentre l’assegno vitalizio si attestava a 343,97 euro al mese (4.471,61 euro annui).
Dal 1° gennaio 2026, gli importi subiranno un aggiornamento provvisorio, con il trattamento minimo che salirà a 611,85 euro mensili, pari a 7.954,05 euro annui, mentre l’assegno vitalizio sarà incrementato a 348,79 euro al mese (4.534,27 euro annui). Questo adeguamento riflette una rivalutazione provvisoria dell’1,4%, basata sull’indice ISTAT dei prezzi al consumo, con possibilità di conguagli in futuro.
Il confronto tra i due anni evidenzia un aumento mensile di 8,45 euro per il trattamento minimo e di 4,82 euro per l’assegno vitalizio, con incrementi annuali rispettivamente di 109,85 euro e 62,66 euro.
L’adeguamento annuale, noto come perequazione, è uno strumento essenziale per tutelare il potere d’acquisto dei pensionati. Per il 2026, la rivalutazione provvisoria è fissata al 1,4%, un dato superiore rispetto al +0,8% definitivo registrato nel 2025.

Novità sugli importi pensionistici nel 2026 – aerobus.bo.it
Oltre a questa rivalutazione generale, è prevista una misura aggiuntiva per i pensionati il cui assegno è pari o inferiore al trattamento minimo. Mentre nel 2025 l’incremento supplementare era del 2,2%, per il 2026 la percentuale scende all’1,3%. In termini concreti, il massimo incremento mensile riconosciuto sarà di 7,95 euro, portando l’importo massimo riconosciuto a 619,80 euro.
L’INPS specifica che questo incremento aggiuntivo si applica sull’importo mensile calcolato secondo le regole antecedenti l’introduzione della norma e che non dipende dal reddito del pensionato. Inoltre, varia a seconda che la pensione sia o meno integrata al minimo, includendo anche regole particolari per le pensioni in convenzione internazionale.
Requisiti e condizioni per l’integrazione al trattamento minimo
L’integrazione al trattamento minimo è una tutela sociale prevista dall’ordinamento italiano, disciplinata dalla legge 638/1983, che assicura ai pensionati un reddito minimo essenziale. L’integrazione è riconosciuta quando la pensione calcolata con i contributi versati risulta inferiore all’importo minimo stabilito annualmente.
Per accedere a questa integrazione, il pensionato deve rispettare specifici requisiti, tra cui:
- Essere titolare di pensioni dirette (vecchiaia, anticipata, invalidità) o indirette (reversibilità, superstiti) erogate dall’INPS o da fondi speciali e sostitutivi dell’Assicurazione Generale Obbligatoria (AGO);
- Aver maturato il diritto alla pensione con il sistema retributivo o misto, ossia aver iniziato a versare contributi prima del 1° gennaio 1996;
- Avere la residenza in Italia.
Sono esclusi dall’integrazione i titolari di pensioni calcolate interamente con il sistema contributivo (versamento del primo contributo dopo il 31 dicembre 1995), fatta eccezione per alcuni casi particolari, come l’assegno sociale o sentenze recenti della Corte Costituzionale che estendono alcune garanzie.
L’INPS stabilisce inoltre i limiti di reddito per poter beneficiare dell’integrazione. Per i pensionati non coniugati, il limite per l’integrazione piena è pari a circa 7.954 euro annui (pari al trattamento minimo). Se il reddito personale supera questa soglia ma resta entro il doppio del trattamento minimo, viene assegnata un’integrazione parziale. Nel caso di pensionati coniugati, oltre al reddito individuale, si considera anche quello del coniuge, con limiti che variano in base alla data di decorrenza della pensione.
Per esempio, un pensionato con reddito personale di 10.000 euro e reddito coniugale di 25.000 euro potrebbe ricevere un’integrazione ridotta, mentre superando i limiti reddituali previsti l’integrazione viene esclusa.
La normativa prevede che siano esclusi dalla valutazione redditi esenti da IRPEF come pensioni di guerra, rendite INAIL e reddito della casa di abitazione, mentre sono inclusi tutti gli altri redditi, compresi quelli da lavoro o da capitale.
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